IL BLU SELVAGGIO

Poesia di Silverio Barp

Avevamo un poeta in sezione e non lo sapevamo!

Con la sua poesia ci vuole raccontare le emozioni che ha provato durante il trekking “SELVAGGIO BLU” in Sardegna, dello scorso settembre.

Silverio non è un novellino, al suo attivo ha trekking importanti, ma qualcosa di questa terra deve averlo particolarmente colpito.

Durante quella settimana hanno percorso dei sentieri che si snodavano su pietraie impervie e sconnesse, a volte su rocce calcaree aguzze e taglienti e con tratti esposti senza possibilità di mettersi in sicurezza.

Hanno affrontato arrampicate e calate in corda con sicurezza “garibaldina”.

sardegna ridotta 2

Sono stati guidati dalle guide locali, figli di quei pastori che da secoli conoscono quel territorio: senza di loro si sarebbero persi.

Guide rudi, forti, che spronano e danno coraggio.

Il fuoco di legna è stato ogni sera la loro cucina e la loro illuminazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Poi uno sguardo alle stelle che così luminose non le avevano mai viste.

Ed osservando questo cielo così bello ecco che Silverio comincia a riordinare i ricordi della giornata ed a riflettere. Pensa a questa terra aspra, selvaggia e isolata, anche se a noi così vicina. Pensa a chi l’ha abitata millenni prima: dovevano essere uomini ed animali speciali!

Da queste riflessioni è nata questa sua poesia che noi qua sotto pubblichiamo.

Il blu selvaggio

Selvaggio ?   Lontano ?

Forse antico,  remoto, un’isola  nell’isola.

Un piccolo dinosauro , le sembianze di grosso struzzo, corre veloce sul levigato,

lucido, piano inclinato di una caverna.

Amico, parente  – zampe a tre artigli -di quelli che hanno improntato i sedimenti del

Pelmo alla Staulanza.

Forse solo un vivente umanizzato dalla fantasia, immersi come siamo in un ambiente

naturale pronto a riprendersi tutto : terra rocce sentieri tracce, fino al cielo.

Lassù, fra cime di alberi che possiamo solo raffigurarci dal fusto.

Pareti e vie troppo difficili per chi non si dota di immaginazione e avventura.

Immagini respinte talora, talora accette, solo da chi possiede la chiave interiore  che

apre agli occhi meravigliati.

Per guardare , occorre fermarsi.

Alzare gli occhi all’orizonte  fa perdere la traccia.

A noi, sapiens di inutili cartelli e segnali ridondanti.

Si potrebbe perdere l’avventura, udita nella narrazione.

Piedi intorpiditi da rami e lame taglienti.

Mani che cercano appoggi di rocce sicure.

Cercare la terra con gli occhi fa risuonare il capo di tonfi sui rami più bassi.

Sanguini qua e là, poco, inavvertito.

Tutto guarisce in fretta , senza cure o attenzioni.  Rosse gocce e sole si fondono.

Il bosco si difende e ti graffia.

La traccia si perde là dove sembrava evidente.

Segni inusuali: una pietra posata alla biforcazione di un ramo, il colore terroso

 sulla roccia bianca restano ad avviarti ad una cengetta ghiaiosa.

E’ l’unico incontrovertibile passaggio fino ad una parete interrogativa.

I piedi chiedono fiducia alla mescola delle suole, le mani vogliono delicatezza

 

di presa.

La voce degli amici ti consola, dell’improvvisa  solitudine, che risiede in te stesso,

di fronte a giganti assopiti da millenni.

Tutto poi cambia.

Calata poco tecnica, ma ardimentosa, risveglia un sorso di adrenalina, dopo

l’ennesima sorsata di acqua.

Quando dicevi…”appeso a un filo”… atterri ed è fatta.

Cambia ancora.

Il rifugio è la tenda, il fuoco, il desco improvvisato e precario, ma desco familiare

e famelico.

Appetito e conforto.  Umanità, serenità felicità.

Non sapevi che una piccola acqua rovesciata ti basta, che ti occorre solo un errabondo

pascolo notturno, per ciò che sempre hai vissuto come opinabile necessità corporale.

Cambi e sai che tornerai cambiato.

A poco a poco, cambierai anche solo  per poco.

Un libro che leggi ti deve cambiare.

Questa è una prova per te dei millenni che qui sono passati.

Continuino pure i più forti fra i sapiens a dimostrarsi i più forti…inavvicinabili dalla

nostra consuetudine di vita.

Noi, immortali in declino, entrati al cospetto di dei antichi, attraversiamo con

umiltà la prova gioiosa.

Ogni giorno del viaggio, pace e consapevolezza aumentano.

La trappola euristica di essere numerosi, uniti, ciarlieri  è superata dalle attenzioni

reciproche.  L’inusuale assorbito nella consuetudine fraterna.

Nessuno solo, nessuno isolato, nell’isola dell’isola.

La guida è attenta.

La guida di chi ci conosce appena, ma, in qualche misura, forza i nostri limiti per

 

la gioia della scoperta…non solo esteriore.

Il dinosauro ci spia dal fitto.

Zampetta sulle pietre, forse solo ciotoli smossi da maiali e capre ardimentose.

Insieme qui hanno vissuto da coloni generazioni di sapiens.

La loro narrazione e le loro dimore ci affascinano.  La legge della sopravvivenza ha

accomunato stirpi umane e animali.

Lo spirito del luogo li ha assisstiti.

Comprendiamo bene ora chi si allontana da questa terra.

Comprendiamo di più chi resta.

Legato allo scenario interiore.

Stretto e costretto allo spettacolo degli occhi.

L’avventura non è alla fine del mondo, dunque, bensì su queste tracce e dirupi che

tentiamo.

Fermi e ben saldi guardiamo.

Anche se il blu è il colore delle canzonette, qui è pervasivo.

Una personalità che , verso sera, torna al “blues”, con il ristoro dalla fatica,

con la ricerca del riposo.

Che forse non verrà.

Siamo cittadini, accumulatori seriali di parole, di esperienze, di foto, di emozioni…

pronte all’archivio.

Qui si vive e ci si lascia vivere, si accetta e si nega il disagio.

Ci si ripiega, si zittiscono le urgenze, si aspetta di avere tempo, si prende tempo.

Il sole sorge.

Sui millenni e sui visitatori importuni di una terra senza mistificazioni.

Torniamo a casa, incerti se ne valga la pena. Torniamo comunque, grazie alla forza

della “logistica” magica fatica di pochi che permette a molti di sorridere sempre.

 

 

Torniamo all’usuale mondo  , a volte grigio, a volte blu.

Il dinosauro , interrogato al proposito, afferma che si può convivere, a patto di

non disturbare,

silverio